Nessuna Correlazione

La discrepanza tra il reale e il percepito

Nessuna Correlazione

“Non c’è più religione signora mia!” È questo quello a cui molti di noi pensano guardando il telegiornale. I casi di cronaca nera sono all’ordine del giorno e sembra che il mondo stia precipitando in una sorta di far west. Ma è davvero così? Consultando i dati ISTAT[1] si scopre che in realtà gli omicidi sono in diminuzione, ed è un trend che dura dagli anni novanta. In particolare sono crollati gli omicidi legati alla criminalità organizzata, i quali sono passati dai 1197 del 1991 ai 315 del 2019. Per contro sono in leggero aumento gli omicidi legati all’ambito familiare, i quali passano dai 135 del 2002 ai 150 del 2019 (sono soprattutto femminicidi). Da ciò si desume che, come spesso capita, c’è una bella differenza tra la portata percepita di un fenomeno e la sua frequenza reale. E se un fenomeno realmente esiste, spesso ha cause differenti da quelle a cui pensiamo. Prima di tirare conclusioni, come vedremo, è bene consultare i dati e gli studi scientifici. Ma perché questa discrepanza tra percepito e reale? 

In merito può essere illuminante un trafiletto tratto da “Pensieri lenti e veloci” dello psicologo premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman: 

 "Il concetto è chiaro: le stime delle cause di morte sono viziate dal modo in cui i media trattano le notizie, e questo modo è intrinsecamente viziato dalla ricerca di novità e sensazionalità. I media non si limitano a plasmare le notizie di interesse per il pubblico, ma sono anche plasmati da esse. I direttori di giornali o televisioni non possono ignorare la richiesta del pubblico di trattare estesamente certi argomenti e certi punti di vista. Gli eventi insoliti (come il botulismo) attirano un’attenzione sproporzionata e sono di conseguenza percepiti come meno insoliti di quanto non siano realmente. Il mondo dentro la nostra testa non è una replica precisa della realtà; le nostre aspettative riguardo alla frequenza degli eventi sono distorte dalla quantità e dall’intensità emozionale dei messaggi cui siamo esposti."[2]

 

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FOTO: quando si dice “prendere un granchio”. Di Loke Seng Hon (myloismylife) - Opera propria, CC BY-SA 4.0


Il senso del paragrafo appena citato dovrebbe essere chiaro: la frequenza con cui i media trattano le notizie ha poco a che vedere con la loro effettiva frequenza. Una notizia è trattata di più o di meno in base a vari fattori, per esempio con il tempo potrebbe essere cresciuta la sensibilità sul tema, un evento eclatante potrebbe aver riportato il tema alla ribalta oppure paure e pregiudizi di vario genere diffusi tra il pubblico potrebbero generare un nutrito dibattito. Facciamo un esempio pratico, tornando agli omicidi: facciamo finta che dieci anni fa in Italia gli omicidi fossero 1000, in seguito con gli anni e dopo diverse leggi azzeccate sono calati fino a 100. Prima 900, poi 800 e così via. Dieci anni fa se ne parlava in proporzione poco, in seguito con l'esplosione dei social e con l'aumento della sensibilità sul tema se ne parla sempre di più. Prima vedi un articolo o un servizio su un caso di cronaca nera, poi ne vedi due, tre quattro… dieci. Ci fermassimo all'attenzione che i media dedicano a un certo tema dovremmo concludere che gli omicidi siano in aumento, quando in realtà è il contrario, come abbiamo visto dai dati ISTAT.  

Con questo dove si vuole arrivare? Ad apprendere una preziosa lezione: non è detto che una copertura mediatica maggiore sia conseguenza di un aumento di un certo fenomeno. 

Leggendo i commenti sui social sembra che un fenomeno simile stia avvenendo da un anno a questa parte. Le testate giornalistiche sono piene di articoli che parlano di gente deceduta improvvisamente in seguito alla vaccinazione. Prima di affrontare quest’ultimo aspetto affrontiamo un altro ad esso propedeutico: le morti improvvise sono in aumento? Gli ultimi dati ufficiali ISTAT in merito a morti improvvise risalgono al 2018. In quell’anno sono morte ben 60.000 persone in seguito ad attacchi ischemici, che sono tra i principali responsabili delle morti improvvise[3]. Se ci pensiamo non è poco, infatti sono circa 1 persona ogni 1000 all’anno. Nel 2018 una persona su 1000 circa è morta improvvisamente! In un paese di 15.000 abitanti ad esempio potremmo legittimamente aspettarci 15 decessi improvvisi ogni anno, pandemia o non pandemia. Figuriamoci in una città come Milano ad esempio. In buona sostanza di morti improvvise ce n’erano parecchie anche prima, solo che ci facevamo meno caso e forse TG e quotidiani ne parlavano meno. Consultare i dati fornisce già un quadro più realistico di come stanno andando davvero le cose.

I rapporti ISTAT sulla mortalità 2020 e 2021 [4], che non distinguono analiticamente in base alle varie cause di morte, indicano come nel 2020 la pandemia abbia colpito duramente, provocando un grande eccesso di mortalità, soprattutto nel periodo tra marzo e aprile 2020. In quel periodo l’eccesso di mortalità maggiore si è avuto al nord, con il picco avuto nella provincia di Bergamo in cui l’eccesso di mortalità è stato del 575%. Nel 2021 la mortalità inizia a calare dalla 20 settimana, momento in cui la campagna vaccinale iniziava a dare i suoi frutti.   

Ma quindi l’aumento di morti improvvise c’è o no? È diminuita la mortalità generale grazie alla vaccinazione ma per contro vi è stato un aumento di morti improvvise o no? Oppure è una questione solo mediatica? Come abbiamo detto i dati ISTAT più analitici, distinti per causa di morte, non sono disponibili. I più recenti risalgono al 2018.  È difficile quindi dare una risposta univoca. In attesa di questi dati però possiamo comunque fare delle interessanti osservazioni. Non sappiamo con certezza se le morti improvvise nel complesso siano aumentate ma di certo sappiamo cosa le fa aumentare e cosa no! Un corposo studio pubblicato su Nature Medicine il 7 febbraio[5] ha indagato sull'aumento del rischio cardiovascolare in seguito all'infezione da COVID. Lo ha fatto monitorando per un anno 150.000 veterani che hanno avuto la COVID19 e confrontando i risultati con quelli di due nutriti gruppi di controllo. I gruppi di controllo constano di più di 5.000.000 di persone ciascuno[6]. Un gruppo rappresenta le persone senza evidenza di infezione che si sono rivolte al Veterans Health Administration (ospedali per veterani in pratica) nel 2020 e il secondo include persone che vi si sono rivolte quando ancora la pandemia non c'era. Questi confronti permettono di parametrare il rischio cardiovascolare sia in base alla gravità delle infezioni che in base ai fattori di rischio (obesità, fumo, ipertensione etc), oltretutto il gruppo di controllo del 2020 consente di escludere altri effetti di aumento di morti improvvise legate unicamente a un ipotetico aumento della loro incidenza con il tempo.

Ciò che ne è emerso è che il rischio di miocarditi, pericarditi, infarti, trombosi, attacchi ischemici transitori etc aumenta in maniera significativa nei 12 mesi successivi all'infezione, indipendentemente dai fattori di rischio. Il rischio è più marcato in chi ha avuto un'infezione severa ma anche chi ha avuto un infezione non severa non può ritenersi esente.

Per esempio vi sono 10 casi in più di aritmia ogni 1000 persone, 5 casi in più di ischemia, 3 di infarti del miocardio, 4 di trombosi venosa profonda… È quindi plausibile un aumento di mortalità per cause cardiache dovuto alle infezioni da covid. 


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Aumento del rischio cardiovascolare per diverse condizioni in soggetti con COVID19 non ospedalizzati (in verde), ospedalizzati (in arancione) e ammessi in terapia intensiva (in viola). Il punto di riferimento è il gruppo di controllo contemporaneo, composto da persone senza evidenza di infezione nel 2020. Lo studio ha coperto il periodo di un anno. Come si vede dal grafico il rischio cardiovascolare cresce con la gravità dell’infezione. Fonte

 

Per contro uno studio dei CDC americani [7] ha messo in luce come il rischio cardiaco conseguente alle vaccinazioni anti COVID19 (la miocardite è effettivamente presente come effetto collaterale conseguente alle vaccinazioni a mRNA[8]) sia molto minore del rischio da miocardite conseguente a infezione. Inoltre i casi di miocardite conseguenti a vaccinazione sono anche meno gravi. La vaccinazione mantiene quindi un rapporto rischio beneficio [9]nettamente favorevole e aiuta a ridurre i rischi cardiaci conseguenti alle infezioni da COVID19 (oltre ai casi severi di COVID19, naturalmente). 

Grazie a studi di questo genere sappiamo che se un aumento di morti improvvise c’è non è certo il vaccino ad averne colpa. Così come non vi è stato negli ultimi anni un aumento di omicidi, anzi è il contrario. Nel caso degli omicidi l’abbaglio è stato ritenere che ve ne fosse un aumento. Nel caso dei vaccini l’abbaglio è stato attribuirgli la colpa di un aumento di morti improvvise. Aumento dall’esistenza plausibile, persino attesa, ma che ha ben altre cause, vale a dire le infezioni da COVID19. Non abbiamo inoltre menzionato il fatto che per via della pressione cui il sistema sanitario è stato sottoposto in questi due anni molte persone non hanno potuto, o non hanno voluto per paura del contagio, effettuare controlli.     

Abbiamo quindi appreso la seconda lezione: una volta appurato l’effettiva esistenza di un dato fenomeno dobbiamo considerare tutte le possibilità per individuare il giusto (eventuale) colpevole. Non dobbiamo soffermarci a ciò che l’istinto e le nostre paure suggeriscono, altrimenti, per utilizzare una metafora processuale, si rischia di seguire la pista sbagliata. 


Bibliografia
 

[1] Archivio ISTAT

[2] Pensieri lenti e veloci di Daniel Kahneman. P. 207 

[3] Archivio ISTAT

[4] Archivio ISTAT: link1, link2 

[5]   Nature Medicine 28, 583 (2022)

[6] Come sappiamo affinché uno studio possa ritenersi affidabile deve avere un campione sufficientemente grande. E questi sono numeri di tutto rispetto. Se il gruppo di controllo invece di essere composto da 5.000.000 di persone fosse composto da 50 soggetti perderebbe ogni valenza statistica. 

[7] Pagina informativa del CDC

[8] Ed è bene prestare attenzione ad alcuni sintomi nelle settimane successive alla vaccinazione (vedi qui).  

[9] Per farla breve il rapporto rischi benefici è favorevole quando la frequenza di un effetto collaterale dei vaccini è inferiore alla possibilità di andare incontro a quella determinata condizione in seguito all’infezione. Quest’ultima non è data solo dalla frequenza con cui il virus causa quella condizione, ma anche dalla probabilità di prendere quel virus. Il vaccino lo si fa, mentre la probabilità di prendere un certo virus non è il 100%.  Facciamo un esempio pratico. Il vaccino causa il mal di testa in 1 caso su 1000, il virus lo causa in 1 caso su 10, ma si ha il 10% di probabilità di prendere il virus. La probabilità di andare incontro al mal di testa con il vaccino quindi è 1 su 1000, mentre  non vaccinandosi è 1 su 100. È ben più complicato di così, definire il rapporto rischio beneficio per le agenzie regolatorie come EMA ed FDA è complicato e richiede studi scientifici, dati e calcoli statistici (ci sono poi molte variabili. Per esempio fattori di rischio come l’obesità possono incidere sul calcolo per determinate categorie di persone), ma il concetto è questo. Bisogna inoltre tenere da conto il fatto che il vaccino non è efficace al 100%, e questa cosa va inserita nel calcolo. Se il vaccino fosse efficace al 90% il rapporto rischi benefici rimarrebbe comunque favorevole. Il rischio di andare incontro al mal di testa dopo la vaccinazione rimarrebbe comunque più basso. Avrei 1 possibilità su 1000 di prenderlo dopo la vaccinazione più un’ulteriore possibilità su 1000 di prenderlo per l’infezione (dopo il vaccino avrei comunque 1 possibilità su 100 di ammalarmi). Totale 1 possibilità su 500 (1/1000 +1/1000= 1/500), contro 1 su 100 se non mi vaccinassi. Un bel guadagno, no? Questo è il motivo perché la paura degli effetti collaterali, seppur umanamente comprensibile, è una fallacia logica e porta a scelte irrazionali e autolesioniste. La precauzione è spesso un’ottima cosa ma in questo caso è una fallacia. 

Per saperne di più potete riferivi a questa pagina dell'Agenzia del Farmaco Europea.