Non sia pigro...

...se le cerchi su Google le prove !!

Non sia pigro...

È capitato a noi, sarà capitato spesso anche a voi: quando chiediamo le fonti di qualche affermazione spesso e volentieri otteniamo come risposta “cercatevele su Google”.

Questo genere di risposta, oltre a rivelare una visione banalizzata del concetto di prova, tradisce una profonda ignoranza del ruolo che queste svolgono nella comunicazione di informazioni che vogliono essere qualcosa di più di una semplice opinione.

Vogliamo dunque con questo testo fornire una risposta articolata che argomenti la necessità di fornire le prove, invece di pretendere che ognuno se le cerchi da sé.

 

Le prove non sono bianco e nero

Una cosa che ci dicevano spesso i parlamentari europei, quando si trovavano a dover considerare la propria posizione nei confronti di nuove politiche comunitarie, era che “ho valutato l’evidenza scientifica e non so ancora cosa decidere!”. E non si può dar loro torto: sarebbe veramente stupido pensare che data un’affermazione si possa sempre trovare una prova che dimostri esattamente quella affermazione. Il processo affermazione/dimostrazione del tipico “cercatele su Google” è infatti di questo tipo:

 

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   Uno schema lineare che associa a un’affermazione una e una sola prova che la dimostra incondizionatamente.

 

Ovvero un processo univoco dove, fatta una affermazione, non si può che trovare una e una sola dimostrazione e quindi la si può benissimo cercare su Google. Se il (generico) signor “cercatele su Google” provasse a essere meno superficiale si renderebbe conto che uno schema di affermazione/dimostrazione è di solito ben più articolato, come questo, per esempio:

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                   Uno schema più realistico: un’affermazione ha evidenze che la confermano solo a determinate

                                                      condizioni o in seguito a serie di eventi che si verificano.

 

Se non ci credete, per avere un esempio date un’occhiata all’analisi delle prove del Dott. Zancanaro nella storia sul veleno delle vipere, in cui vi sono decine di lavori contrastanti e svolti in diverse condizioni. Questo è uno dei motivi per cui con Chiedi le Prove collaborano parecchi esperti di diversi filoni scientifici, tra cui il CICAPMED, che è un gruppo CICAP di medici con diverse specializzazioni che collabora anche con la FNOMCeO nel progetto “dottore, ma è vero che”, e AIRicerca, un'associazione di 15000 ricercatori italiani all’estero. Vi chiediamo quindi di provare a immedesimarvi in una persona che vorrebbe vendere un prodotto, e ha effettivamente delle prove che ne dimostrano l’efficacia: direste all’utente di cercarsele su Google?

 

Google non è la letteratura scientifica

Forse l’illustre “cercatele su Google” ignora il piccolo dettaglio che su Google puoi trovare tante cose, e anche di più. Per esempio, se cerco prove sulla pericolosità della rete 5G appare una marea di “informazioni”.

 

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           Solidarietà per chi ha fatto questa ricerca che verrà per diversi giorni bombardato sui social da “contenuti simili”...

 

Noi vogliamo credere che chi ci segue sia abbastanza “sgamato” da capire che molti dei risultati che si ottengono con una ricerca del genere sono di scarsa qualità – per non dire peggio. Una persona facilmente condizionabile, o con un’idea che vuole confermare a tutti i costi, potrebbe trovare tutte le “prove” che desidera. Peccato che queste non siano prove. Le prove, per essere prese in considerazione, dovrebbero essere dei risultati ottenuti tramite procedure che consentono di minimizzare il più possibile errori dovuti a bias umani. Queste metodologie rientrano nell’insieme delle metodologie scientifiche e sono uno standard nelle pubblicazioni di istituti statistici ufficiali e di quelle su journal con peer-review. Si tratta di una parte di letteratura specialistica alla quale spesso è di fatto necessaria un’affiliazione universitaria per avere completo accesso. In ogni caso, non è verosimile aspettarsi che ogni persona abbia le competenze necessarie per immergersi nella letteratura scientifica e trovare le prove richieste. Addirittura un accademico attivo in un campo di ricerca non sarebbe in grado di farlo per un campo distante dal proprio.

Ma, fortunatamente, chi ha fatto l’affermazione avrà sicuramente verificato che sia vera con una ricerca nella letteratura rilevante, o con degli studi pubblicati in riviste internazionali. Tutto il lavoro è già stato fatto, sicuramente condividerlo è un’operazione che richiede poche risorse, e al tempo stesso evita che l’utente finale si faccia un’idea sbagliata cercando da sé.


Ancora...  immedesimatevi in una persona che vorrebbe vendere un prodotto, o una affermazione, e ha effettivamente delle prove che ne mostrano l’efficacia: direste all’utente di cercarsele su Google?

 

La scelta della prova riflette la consistenza dell’affermazione

Questo è un punto sottile: chiedere le prove vuol dire chiedere perché per l’autore l’affermazione che ha fatto è vera. È un approccio relativistico che onora le convinzioni personali di tutti: se per esempio un personaggio pubblico vuole convincermi a consumare vino biodinamico perché secondo alcuni princìpi olistici apporta dei benefici che gli altri vini non danno, e ribadisce che per lui è prova a sufficiente perché comunque “la scienza non può spiegare tutto”, capisco al volo cosa per l’autore dell’affermazione costituisce una prova e sono dunque in grado di valutare la decisione da prendere. Se, al contrario, cercassi su Google le mie risposte, imporrei nella ricerca quello che io considero come prova, per esempio noterei che non vi è evidenza scientifica al riguardo e questo determinerebbe la mia decisione. In entrambi i casi l’esito probabilmente non cambia, ma è importante che venga data all’autore la possibilità di difendere la propria affermazione come meglio crede. Specialmente in casi in cui l’evidenza disponibile potrebbe essere incerta e una persona potrebbe decidere di scegliere secondo altri criteri personali. Il nostro amico “cercatele su Google” dunque, così facendo, rinuncia volontariamente alla possibilità di difendere le proprie affermazioni, un gesto che definiremmo quantomeno infantile.

Immedesimatevi dunque in una persona che vorrebbe vendere un prodotto e che ha diverse ragioni per considerarlo buono: rinuncereste a condividere tali ragioni con un potenziale cliente, dicendogli di cercarsele su Google?

 

La sospensione del giudizio

Un’altra difficoltà che si presenta immediatamente pretendendo che il destinatario del messaggio cerchi da sé le prove risulta evidente se si considera il problema da un’ottica che vada oltre la propria campagna informativa. Sarebbe infatti piuttosto egoistico pensare che solo noi siamo esenti dal fornire le prove alle affermazioni che facciamo, e se la risposta è “le prove cercatele su Google” bisogna anche considerare che ci sono molti altri messaggi che raggiungono una persona nell’arco della giornata. È semplicemente inverosimile aspettarsi che qualcuno possa cercare le prove di tutte le affermazioni che sente; al contrario, visto che si suppone che l’autore dell’affermazione in oggetto abbia delle prove per poterla sostenere, allegarle al proprio messaggio non costa niente. E permette di evitare sorprese: una persona che non ha la possibilità di valutare le prove di un’affermazione potrebbe sospendere il giudizio su di essa. La reazione potrebbe dunque essere un rifiuto dell’affermazione: in fin dei conti, senza prove un’affermazione non è tanto diversa da tutto il resto che si trova su Internet, come per esempio “la pericolosità del 5G”. Una persona potrebbe addirittura insospettirsi per l’assenza di prove: forse non esistono, ed è tutto basato su una convinzione personale. Oppure, al contrario, uno può scegliere di fare un atto di fede e fidarsi ciecamente: si tratta però di un atteggiamento irrazionale. Chiedi le Prove, insieme ad altre iniziative simili, lavora affinché meno gente si affidi a questo genere di atti di fede per compiere decisioni. E, almeno per quanto possiamo osservare, ci sono sempre più persone che vogliono le prove, ed è un fenomeno che riteniamo crescerà anche perché ci sono diversi siti informativi che offrono riferimenti bibliografici riportati correttamente e nel contesto giusto ed è nostra opinione che questi siano in aumento. Insomma: nel mercato dell’informazione esistono prodotti di qualità ben superiore rispetto ad affermazioni senza prove e il palato delle persone sta diventando più raffinato. Si potrebbe inoltre considerare eticamente discutibile diffondere un’informazione senza fornire prove, ben sapendo che chi ci crederà lo farà soltanto sulla base della fiducia accordata e non fondandosi su motivi concreti. Ma, sicuramente, se ci sono le prove sono tutti rischi facilmente evitabili: basta solo condividerle!