L'impatto sociale dei grani antichi

Quando è un atto di fede che determina una scelta.

L'impatto sociale dei grani antichi

 

La storia che segue ci è resa disponibile dall’asker Marco.

 

Tempo fa, avevo letto sul sito di Chiedi Le Prove una storia che riguardava i “grani antichi”.

L’argomento aveva suscitato il mio interesse e quindi ho letto con attenzione un articolo sul medesimo argomento apparso tempo dopo su Repubblica.it.

Nell’articolo di Repubblica veniva riportato come si stiano riaffermando nella regione Sicilia le coltivazioni che utilizzano i “grani antichi” (autoctoni) in contrapposizione ai grani solitamente usati con le tecniche agricole “moderne”.

Uno dei punti che l’articolo portava a favore dei grani antichi è che questi, grazie alla variabilità e alla mescolanza, “innescano una selezione naturale che fortifica le spighe e che non ha bisogno della chimica” aumentando la biodiversità presente nella regione e questo, per il principio della selezione partecipata, comporta “una miglior competitività contro specie infestanti e un naturale adattamento al cambiamento delle condizioni climatiche”.

L’articolo proseguiva evidenziando alcuni aspetti legati alla salute, secondo la nota correlazione ambiente-salute. Veniva riportato che secondo il Dott. Milici, neurologo e neuropsichiatra, “alcune malattie della psiche possono avere come concausa un'alimentazione basata su cibi non sani o alterati dalla chimica".

L’articolo si concludeva affermando che “Siamo quello che mangiamo: il ritorno dei grani antichi, allora, potrebbe influire notevolmente sul nostro benessere psico-fisico”.

Tenuto conto che le affermazioni riportate erano prive di riferimenti scientifici, ho scritto una e-mail all’autore dell’articolo, dove chiedevo quali fossero le prove che mostrano che una maggiore biodiversità comporta una migliore competitività contro specie infestanti e cambiamenti climatici; quali fossero gli studi che il Dott.Milici aveva condotto per poter affermare quanto riportato nell’articolo e quale evidenza scientifica supporta la teoria secondo cui ritornare ai “grani antichi” potrebbe influire notevolmente sul nostro benessere.

Sebbene abbia mandato un sollecito visto che non ottenevo risposta, ad oggi non mi sono state fornite le evidenze scientifiche richieste.

Posso affermare in tutta onestà che non condivido questo modo di operare, ahimè fin troppo diffuso, che chiede di fare un atto di fede nell’accettare le informazioni contenute in un articolo senza che vengano fornite le fonti.


 

Ad oggi non ci sono giunte prove a sostegno delle affermazioni fatte.

La considerazione di Marco è lecita: in una condizione di assenza di prove, un lettore deve scegliere se accettare o meno il contenuto di un articolo esclusivamente in base a un atto di fiducia verso l’autore, confidando nelle impressioni personali di chi scrive.

Inoltre, citare la persona del Dott.Milici piuttosto che gli studi che egli ha condotto per determinare il ruolo che i cibi “non sani o alterati dalla chimica” possono avere su alcune malattie della psiche, è una pratica scientificamente non corretta.

Non ci stancheremo mai di ripeterlo: il principio di autorità non è una metodologia scientifica riconosciuta e quindi nella comunicazione di risultati il nome degli autori è non essenziale. Infine, non possiamo non notare come alcune accezioni rendano i concetti comunicati poco chiari e non scientificamente definibili: cosa si intende per “cibo non sano”? E per “cibo non alterato dalla chimica”?


Chiedi Le Prove è (e sarà sempre) ben lieta di discutere tutti questi aspetti con l’autore dell’articolo affinché insieme si possa fornire il maggior numero di elementi possibile ai consumatori, per metterli nella condizione di elaborare opinioni ed effettuare scelte consapevoli.